Davide Morana

Davide Morana, grande e giovane sportivo, a 24 anni è stato colpito da una meningite batterica, nonché la più pericolosa, a causa della quale ha perso mani e piedi subendo un’amputazione dei quattro arti. Il suo inaspettato sollievo è avvenuto quando gli è stato detto che avrebbero tagliato via le parti “nere” e non più funzionanti, ed è proprio in quel momento che è iniziata la lotta per una vita piena e felice. La sua rinascita come uomo, professionista e sportivo è oggi esempio in tutto il mondo. Metaforicamente il percorso di Davide rappresenta l’approccio alla vita più soddisfacente che si possa maturare nel tempo: eliminare ciò che si è “annerito” e non funziona più, massimizzando ciò che invece si possiede ed è di grande valore.

Definiamo l’accettazione come “l’assunzione di consapevolezza che un certo scopo sia definitivamente compromesso”. Qual è il percorso per accettare ed accettarsi in una nuova vita senza permettere alle forti emozioni di tristezza, ansia e rabbia di prendere il sopravvento?  “L’accettarsi è qualcosa di cruciale poiché permette di focalizzare l’attenzione su obiettivi futuri senza guardare indietro. E’ un processo difficile, soprattutto in circostanze critiche in cui agiscono fattori emozionali talmente forti e complicati da bloccare tutto. Ma riuscendo ad accettare e accettarsi come ho fatto io, guardando questi ostacoli in maniera positiva come valore aggiunto e non privazione, ciò permette il raggiungimento di scopi ed obiettivi in maniera autonoma e indipendente. Alla base dell’accettazione c’è l’amore e l’autoconsapevolezza: accettandomi amo il mio corpo, essendo consapevole so che il passato è passato e posso agire solo sul presente mettermi a disposizione degli altri dimostrando che anche il peggio può smettere di essere così tremendo. Non esiste un pulsante che permette di tornare indietro, la costruzione per me è nel proiettarsi avanti”.

Esistono stereotipi e pregiudizi con un forte impatto sociale, perché hanno la capacità di condizionare le valutazioni e i comportamenti nei confronti di altre persone. La disabilità fisica per secoli è stata oggetto di una manifesta ostilità, ad oggi si lotta per far comprendere quanto la capacità di adattamento dell’uomo permetta di sviluppare nuove abilità accompagnate da gran forza psicologica, e tu ne sei la migliore testimonianza. Quale atteggiamento hai personalmente riscontrato nella società contemporanea? “Ho capito che nella società ci sono due tipi di atteggiamenti: chi lotta e chi si arrende. Chi lotta riesce a sviluppare il proprio spirito di adattamento, ciò comporta il poter lavorare per migliorare o risolvere il problema traendone vantaggio malgrado la condizione così impura come una disabilità di quadriamputato come me. Alla base della lotta ci sono una serie di valori che necessitano di intelligenza e sforzo considerevole, quali: volontà, resilienza, accettazione. Dall’altra parte c’è chi si abbandona, chi si arrende, chi non riesce a raggruppare le forze e vedere i vantaggi e capisco che sia davvero molto difficile; però cedere all’abbandono di sé stessi non deve suscitare comprensione eterna nell’altro, ma anzi dovrebbe influire in un maggiore spronare per non far mollare. Se si incoraggia alla rinuncia e alla tristezza ciò impoverisce e impedisce l’azione dello spirito di adattamento innato che caratterizza l’essere vivente sin dalla nascita. Gli stereotipi e i pregiudizi sono il cancro della nostra società e abbatterli significa amarsi e amare gli altri: la disabilità fino a qualche tempo fa era vista come motivo di vergogna e disgrazia, oggi non può essere cosi. Il disabile deve essere visto come una persona in più, non una in meno, che può tornare ad essere “normale” seppur il concetto di normalità andrebbe ben chiarito”.

Credi che la richiesta di aiuto sia espressione di fragilità e debolezza o al contrario è la presa di coscienza di un malessere che sta condizionando il nostro stare al mondo? Iniziare un percorso di psicoterapia è un atto d’amore per sé stessi: significa avere il coraggio di mettersi in discussione per capire i propri disagi e dimostrare di voler stare meglio. Quanto ti ha aiutato il percorso psicologico nella maturazione di resilienza? “La richiesta di aiuto è sintomo di intelligenza e sensibilità, che sono la vera forza dell’essere umano. Non sono la violenza, la cattiveria, l’orgoglio e la chiusura a misurare la grandezza di un uomo ma l’emotività, la bellezza dell’anima, la grandezza della mente, ed io spero che un giorno il mondo prenda consapevolezza di questo. Chiedere aiuto è l’inizio della lotta, è la volontà di voler lottare. Inizialmente in ospedale sono stato accompagnato da un’equipe di psicologi, ma personalmente nella mia esperienza non ho avuto esigenza di richiedere altro aiuto terapeutico, prima ancora della malattia nella mia infanzia ed adolescenza avevo già maturato ciò che poi mi è servito e sono fortunatamente riuscito a metterlo in atto in un momento complicato. Da subito ho sentito di stare bene e la gran voglia di vivere, curarmi e andare avanti nella mia costruzione. Non vedevo l’ora che si cicatrizzasse tutto per poter mettere le protesi e riprendere la mia autonomia che per me è fondamentale. Ma garantisco che l’aiuto psicologico è importantissimo per la comprensione di sé stessi e del mondo, per imparare ad agire in modo differente a quello che si è abituati traendone benefici personali e relazionali. Credo che la scelta terapeutica sia importantissima per chi non riesce ad andare oltre, o senta un blocco insuperabile, o ancora non riesce e spingere la volontà di stare bene”.

Che ruolo ha lo sport nella tua vita? “Lo sport per me è essenziale e vitale, mi aiuta a gestire al meglio la mia condizione oltre nel resistere al contatto con le protesi 12-14 ore al giorno senza mai toglierle, che senza un allenamento non riuscirei a sostenerle per così tanto tempo. Inoltre aiuta anche la malattia di cui soffro: il diabete, permettendomi di mantenere il livello di zucchero nel sangue a livello ottimale senza avere paura che possa prendere il sopravvento su di me. Considero lo sport il primo e miglior medicinale in qualsiasi malattia, qualcosa che bisognerebbe imparare e studiare sempre traendone benefici grandiosi per il corpo, la mente e la socialità. Va avvalorato, protetto e curato. Per me oggi è un lavoro, sono atleta e spero poter diventare atleta paraolimpico, ci sto mettendo tutto me stesso per arrivare a questo obiettivo e spero di raggiungerlo quanto prima”.

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